Fake news: i social, nuove fabbriche di inganno

Ascolta l’articolo
Secondo una ricerca presentata al “Festival della comunicazione non ostile” 2025, il 70% degli adolescenti crede di saper riconoscere le fake news, eppure in molti interagiscono comunque con contenuti falsi
Giovani convinti di saper distinguere una notizia vera da una falsa, adolescenti confusi dai social e genitori incuranti dell’alfabetizzazione digitale dei propri figli, sono queste le circostanze odierne, emerse dalla recente indagine “Alfabetizzazione digitale & Fake News”.
Dalla ricerca, realizzata da Ipsos, Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e Parole O_Stili con il contributo di Fondazione Cariplo, presentata a Trieste il 21 febbraio 2025, durante il Festival della comunicazione non ostile -manifestazione organizzata da Parole O_Stili che da anni si occupa di contrastare la violenza on e offline e di delineare un quadro completo sul rapporto tra i ragazzi e le nuove tecnologie -, emerge che il 70% dei teenager ritiene di saper riconoscere una bufala, ma il 31%, in media, ci mette un like e il 7% la condivide. Questo fattore suggerisce una distinzione tra engagement passivo e attivo, dal momento che solo 1 ragazzo su 5 commenta le notizie vere o false che siano. Infatti, tra le componenti che influenzano maggiormente la diffusione delle fake news, la principale è il tempo trascorso sui social.
Un altro dato importante che la ricerca ha evidenziato, in effetti, sottolinea come i giovani che utilizzano i social media dalle 3 alle 4 ore al giorno mettono 12 volte “mi piace” in più rispetto a chi li usa per meno di un’ora.
Interessante è poi la differenza sulla disinformazione tra maschi e femmine, in quanto quest’ultime condividono il 61% di pseudonotizie in più rispetto ai ragazzi. Mentre per quanto riguarda le competenze tecnologiche il 94% dei maschi si considera capace e consapevole, contro il 92% delle ragazze che nel 12% dei casi ammette di riscontrare difficoltà, percentuale che scende all’8% nel caso dei ragazzi.
Un’altra differenza è segnata dall’età: la GenZ ha infatti competenze digitali di base, comunicative e avanzate più alte rispetto alla Generazione Alpha. E per quanto concerne l’informarsi sui social la fascia d’età che più ne fa uso, è quella degli studenti del biennio, che hanno quindi tra i 14 e i 15 anni.
Ma quali sono i media più utilizzati dai giovani?
Il 96% degli intervistati confermano di avere almeno un social. Il 94% ha Whatsapp, il 74% ha un profilo su Instagram e il 68% è su TikTok, piattaforma dove i ragazzi passano più tempo, con una media di 2,4 ore al giorno. Meno di un giovane su due, invece, ha eseguito l’accesso su canali come Telegram, Snapchat o Twich. In fondo alla classifica si posizionano Threads e X.
Il tutto è ancora influenzato dal sesso e dall’età: le ragazze sono più numerose su TikTok e Snapchat, mentre i ragazzi su Telegram, X e Twich, e quasi un under14 su due è presente su TikTok e Instagram.
Qui la maggior parte degli adolescenti si rapporta ai propri amici, mentre una fetta pari al 51% usa i social network a scopo informativo.
Tecnologia e consapevolezza: tra opportunità e lacune formative
Oltre il 93% dei ragazzi e delle ragazze che hanno partecipato alla ricerca ritiene la tecnologia come una grande opportunità per l’essere umano, ma il 77% sottolinea la necessità di comprenderne i rischi e l’80% degli adolescenti ritiene che la scuola dovrebbe fornire strumenti per riconoscere le fake news, sono infatti poco meno di 7 su 10 coloro che si sentono competenti nel trovare informazioni e il 29% non sa utilizzare l’e-mail. Più alta è invece la competenza in acquisti online, installazione di app e programmi e creazione di documenti.
I ragazzi riconoscono il potenziale della tecnologia, ma sono consapevoli anche dei suoi rischi. Tuttavia, la discrepanza tra le competenze pratiche e quelle critiche evidenzia una fragilità educativa che la scuola non può più ignorare. Fornire strumenti per decifrare l’informazione digitale è oggi un’urgenza formativa, non un’opzione.
Chi guida i più giovani online? Il ruolo dei genitori nella vita digitale dei figli
È stata presa in analisi anche la mediazione parentale, portando alla luce il fatto che il nord Italia è più digitalizzato ma con una genitorialità meno presente, mentre centro e isole, per quanto meno competenti, controllano di più la vita dei figli in rete.
Ciò nonostante, un genitore su tre non affronta mai il tema di cosa fa il proprio figlio su Internet e uno su quattro non lo incoraggia a esplorare il web.
Ne sono una testimonianza le parole di Rosy Russo, presidente e founder di Parole O_Stili: “Ciò che manca davvero è la consapevolezza da parte degli adulti della responsabilità ad abitare la Rete, a vivere in quella cultura digitale che è propria dei nostri figli e delle nostre figlie.”
Infine, risulta scarso l’utilizzo di strumenti di controllo delle attività online dei figli, solo 1 genitore su 3 usa infatti il parental control.
Un cambio di rotta è possibile
In un panorama digitale sempre più complesso, i dati parlano chiaro: non basta sentirsi competenti per esserlo davvero. Se da un lato i giovani dimostrano entusiasmo e fiducia nella tecnologia, dall’altro emerge una vulnerabilità diffusa, spesso ignorata dagli adulti. È evidente, dunque, che la sfida non riguarda solo gli adolescenti, ma coinvolge anche scuola, famiglia e istituzioni. Promuovere un’educazione digitale solida, che vada oltre le nozioni tecniche e affronti anche aspetti etici e critici dell’informazione, è oggi più che mai necessario. Solo così sarà possibile trasformare i social da strumenti di disinformazione a luoghi di consapevolezza e responsabilità.
Mara Droghetti IVC
credits immagine di copertina freepik